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Quando si esce dal serrone della splendida Villa Reale di Monza, che dal 27 settembre 2014 al 1 febbraio 2015 ospita trenta e più opere del maestro De Chirico, il mistero non viene svelato e le domande restano con il loro finale punto interrogativo; ma il vuoto, di qualsiasi specie sia, si riempie di pace, di pace metafisica, quella che l’artista non risolve ma estrinseca dicendoci, tra una pennellata e l’altra, che ci troviamo a “vivere nel mondo come in un museo pieno di stranezze, pieno di giocattoli bizzarri, variopinti, che cambiano aspetto, che a volte come bambini rompiamo per vedere come sono fatti dentro. E, delusi, ci accorgiamo che sono vuoti.”

 

De Chirico, degno uomo d’arte, esprime il non-senso; contro ogni soluzione scientifica e risolutrice, oggi ricercata con bramosia e con bramosia propinataci in ogni forma, si scaglia la potenza dell’enigma, soggetto delle opere dell’artista; un enigma che, come ben mette in luce Maurizio Calvesi, non è suscettibile di soluzione e, dunque, non è un enigma-problema bensì un enigma-stato d’animo, irriducibile a un senso determinato. Pur avvalendosi della forma, distinguibile e finita, lontana dall’immagine pittorica astratta, Giorgio De Chirico conferisce status a ciò che nella realtà pare non essere dotato di significato ma dove, di fatto, l’artista riconosce trovarsi il fondamento stesso dell’esistenza.

Le svariate forme di vite silenti -dicitura preferita da De Chirico alla più tradizionale “nature morte”- con cui si apre la mostra, non solo palesano l’attenzione, comune di fatto già a molti artisti nel primo decennio del Novecento, agli oggetti della vita quotidiana, ma permettono di intuire fin da subito la volontà del maestro di rendere pubblico un microcosmo privato mediante l’effetto della sorpresa, destata dall’accostamento insolito di cose comuni; lo spettatore si trova a dover compiere un percorso di scoperta e di rielaborazione del visibile, accompagnato dalla sensazione si spaesamento che inevitabilmente lo coglie mentre si aggira tra i capolavori esposti.

Come scriveva Cocteau “De Chirico ci mostra la realtà spaesandola. È uno spaesaggista.”

 

Ma De Chirico è anche un grande conoscitore della Lebensphilosophie nietzschiana, la cosiddetta filosofia della vita, dalla quale elabora e rielabora il dualismo apollineo-dionisiaco -e, dunque, la vitale contrapposizione tra realtà come entità ordinata, razionale e differenziata nelle forme, e realtà come entità caotica e irrazionale e non differenziata nelle forme- e la famigerata teoria dell’eterno ritorno, che il maestro sviluppa pittoricamente nella mescolanza consapevole di oggetti legati al passato (statue antiche, busti, frammenti) e al presente (occhiali, guanti, scatole di fiammiferi, locomotive moderne), dando vita a quelli che Braun apostrofa come “strati discordanti di mitologia classica e merci contemporanee che rendono il consueto strano e l’antico stranamente moderno, strappati –come sono- da ogni spazio e tempo logico e resi strani come parole espulse dall’ordine sintattico di una frase.”

Nella serie Sole spento, presente nella mostra, l’antitesi di Nietzsche diventa immagine, l’immagine di due soli o un sole e una luna collegati da una sorta di cavo che ci rivelano il vedere, il guardare con occhi nuovi.

Nonostante il bombardamento di immagini a cui siamo ogni giorno sempre più condannati e a cui, di rimando, con le nostre incessanti pubblicazioni di materiale fotografico, condanniamo, De Chirico torna a farci soggetti attivi del processo visivo prima e cognitivo poi, dal momento che ciò che osserviamo richiede una nostra metabolizzazione razionale, a completamento e non esclusione dell’impatto emozionale provocato dalla visione delle opere dell’artista.

 

A chiudere la mostra ci sono Gli Archeologi; ci sono Gli Archeologi di De Chirico a ricordare la complessità dell’essere umano. Ancora una volta, contro ogni forma di semplificazione a cui la società odierna vuole farci tendere, arriva infatti la mano del maestro per portarci a riconsiderare criticamente e sensorialmente la stratificazione inesauribile che costituisce ogni uomo. Nella forma pittorica e in quella scultorea, la serie de Gli Archeologi, che compare come tema nell’arte di De Chirico verso la metà degli anni Venti, rende tangibile, attraverso la rappresentazione di tronchi di colonne, tempietti classici, rovine di arcate di acquedotti romani, frammenti antichi, il cosmo interiore di ogni soggetto, quello che è stato, la sua formazione, ciò che è ma che all’occhio esterno, soprattutto a quello superficiale, sfugge.

Mark Twain scriveva che “chiunque è come la luna e ha una parte che non viene mai mostrata a nessuno”: tra le opere di De Chirico ognuno è portato a interrogarsi e riflettere su quella parte, ognuno è chiamato a cercarla, ognuno è chiamato a prenderne coscienza.

 

 

De Chirico e l'oggetto misterioso

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