ALESSANDRA
CORBETTA
GENERAZIONE SHUFFLE
Onesta. Così potrebbe essere definita, senza troppo tergiversare, la descrizione che Sebastiano Benasso fa dell’odierna generazione trentenne nel suo Generazione Shuffle, saggio uscito per Aracne, che pone sotto i riflettori un tema fondamentale, ma spesso non considerato tale, quale quello dell’evoluzione che il significato di essere giovani ha assunto all’interno della nostra società e che oggi più che mai, di fronte a tassi di disoccupazione giovanile sempre più elevati e troppo spesso imputati in maniera univoca allo scarso impegno della categoria, andrebbe letto o riletto.
Lo Shuffle è una funzione dell’i-Pod che consente la formazione e riproduzione di sequenze musicali casuali a partire dai brani che sono stati scaricati; l’uso del termine vuole, quindi, simboleggiare il carattere aleatorio e solo in parte prevedibile delle traiettorie biografiche e di costruzione identitaria dei trentenni di oggi.
Fino a che questi, seguendo il ragionamento proposto da Benasso, continueranno a essere analizzati e giudicati in ambito sociologico sulla base delle cosiddette categorie zombie che prevedono, nella fattispecie, il raggiungimento dello status di adultità dopo il superamento di alcune tappe obbligatorie, (conseguimento di un titolo di studio o acquisizione di una capacità tecnica, ottenimento di un’occupazione stabile, abbandono del nucleo familiare originario e costruzione di uno nuovo), allora essi seguiteranno a essere etichettati come immaturi, incompetenti, perdenti. Geni avariati? Pigrizia innata? Fragilità incorporata?
Certo che no; ma la sensazione è sovente quella che si abbia a che fare con una generazione sbagliata a prescindere, con una generazione mancante a priori di qualcosa. E il fatto che sembri, però, contestualmente godere di tutti gli agi possibili, rende questa incapacità di sfruttarli a pieno ancora più gravosa.Come se, in altre parole, i trentenni di oggi avessero tutte le carte in regola per vincere ma a causa del loro pavido entusiasmo e lasco impegno fossero destinati alla sconfitta.
La ricerca condotta con solerzia e massima accuratezza metodologica da Benasso ribalta questa prospettiva di analisi, mettendoci di fronte a una realtà forse più reale che riconosce nella metafora yo-yo e nei casi di situational living non deviazioni erronee da un percorso corretto, bensì dinamiche possibili all’interno di un contesto evidentemente mutato, nel quale l’elemento sopra ogni altro caratteristico è la crisi del senso.
Il venir meno dei mastodontici modelli di riferimento, che continuano però a porsi come termini imperanti di paragone, insieme a uno spazio di libertà potenzialmente infinito hanno condotto a uno smarrimento del soggetto, che impossibilitato a stabilire aprioristicamente il suo percorso di vita, si trova costretto a rileggerlo a posteriori, dando un significato a ogni scelta operata e cadendo ineluttabilmente nell’esclamazione “ah se avessi detto, ah se avessi fatto!”. Dietro l’angolo, poi, l’obbligo quasi morale di massimizzare ogni relazione o contatto, di cogliere qualsiasi opportunità, di sviluppare tutto ciò che assomigli a un talento in attesa della tanto agognata svolta.
L’esposizione alla crisi del senso conduce, dunque, a una rilettura critica del proprio percorso di vita al fine di rinvenire in esso forme di coerenza, così sintetizza Benasso, che possano fungere da indice del processo di costruzione identitaria e che conducano i giovani all’espletamento delle più svariate strategie adattive, poste in essere con la necessità e la speranza di dimenarsi quanto meglio possibile all’interno dell’ambiente sociale tout-court.
La presenza, dunque, di shifter, swimmer, sinker, sticker, settler e switcher, ovvero di soggetti che con modalità differenti si attivano per costruirsi nel nostro orizzonte di riferimento, non deve essere annoverata come il risultato di una perniciosa epidemia sociale imputabile a giovani ormai contagiati, bensì come l’assetto a cui modificazioni economiche, sociali, cronologiche, tecnologiche ed esistenziali hanno condotto con naturalezza inevitabile.
Sebbene la sociologia, stando con Bourdieu, continui a rimanere “un punto di vista su un punto di vista”, grazie a Benasso ne abbiamo un altro, meno catastrofista, meno illusorio, certamente più obiettivo dal quale partire per rileggere, ancora una volta, la storia di quello che accade intorno a noi, dentro di noi.