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IO SO CHI SONO

Loro hanno parlato. Grazie a Dio, loro hanno parlato.

 

Hanno parlato ieri sera, domenica 1 febbraio, al Teatro Sociale di Como; parleranno stasera al Teatro Civico di La Spezia e venerdì 6 febbraio all’Auditorium del Conservatorio di Milano e parleranno fino alla fine del loro tour “Io so chi sono”.

 

Parlano ogni volta che li ascoltiamo, parlano in ogni loro progetto.

 

Parlano con la musica, con le canzoni, con gli strumenti che stridono e percuotono, parlano con le parole.

 

Senza diplomazia, senza perbenismi, senza convenevoli: solo con la delicata schiettezza di chi sa come gira davvero la vita, quando si tolgono la diplomazia, i perbenismi, i convenevoli.

Quando non si parla ai ruoli ma agli esseri umani, né per convincere, né per vendere ma solo per far girare bene le parole. Rarissima cosa oggi, cosa mai rara per l’arte. E loro sono artisti, artisti di un’incandescenza così sublime da saper donare due ore intense come il gusto delle coscienze che si smuovono, due ore concise come la sintesi completa dell’esistenza che ondeggia, seguendo la scia tracciata dal flusso sinuoso dei suoi capelli, dalla chitarra al piano e dal piano alla chitarra e che ci conduce al tentativo della comprensione del senso.

 

Succhiare acqua con la cannuccia nel momento di massima sete rende ancora più dissetante l’indispensabile trasparenza liquida e fa comprendere meglio il privilegio di poterne godere; dal palco reale del Teatro Sociale mi sono sentita così, assetata e con in mano la mia cannuccia, pronta a portar via anche l’ultima goccia della loro poesia vitale. A dire il vero, credo che fossimo tutti in questa condizione, anche quelli che riempivano la platea e la galleria.

 

Loro ammaliano e purificano, sono una catarsi con effetto catartico; loro chiedono se si ha paura del buio piuttosto che darlo per scontato: loro per scontato non danno niente ma non fanno sconti. Loro prendono posizione; loro abbandonano gli strumenti e poi il palco a uno a uno, come le cose della vita che se ne vanno proprio così, senza dirci quale prima e quale poi, e poi ritornano, scendono tra noi e risalgono, e anche se non c’è niente che sia per sempre, la loro buonanotte sa echeggiare a lungo.

 

Noi, che eravamo lì in sala, ci domanderemo ancora tante volte chi siamo, e ancora tante volte non troveremo una risposta che sia soddisfacente per più di un frangente di attimo: ma con loro sul palco, dentro le orecchie, tra la mente, nel cuore, abbiamo avuto quantomeno la conferma di essere, e non è poco.

 

Sarà che loro sono gli Afterhours.

 

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