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LE LEGGI DEL DESIDERIO

 

Non sarà annoverato tra i capolavori della cinematografia italiana, ma il nuovo film di Silvio Muccino Le leggi del desiderio, nelle sale dal 26 febbraio, porta sotto i riflettori un tema che necessiterebbe, invece, di essere passato in rassegna dalla riflessione contemporanea tout court.

Nell’epoca delle passioni tristi, per riprendere la celebre espressione di Miguel Benasayag, cosa significa desiderare? O meglio, desiderare è ancora possibile? Il verbo desiderare, di derivazione latina, può assumere due significati contrapposti, ma ugualmente legittimi, in base alla valutazione del de: “fissare attentamente le stelle”, se viene inteso come intensivo; “distogliere gli occhi dalle stelle”, nella sua accezione di allontanamento.

Attivo e passivo dunque, com’è infatti il desiderio che ci attrae, ci attira, ci mette in tensione verso qualcosa ma che, allo stesso tempo, ci seduce, ci rende inermi. Desiderio che per essere tale necessita di attesa, di inventiva, di creazione, di mobilitazione cerebrale ed emotiva, di apertura all’altro per non trasformarsi in mero godimento, rapido, fine a se stesso, non riempitivo, egoista.

Giovanni Canton, carismatico trainer motivazionale impersonato con efficacia dallo stesso Muccino, sembra conoscere le leggi che lo governano, leggi che se messe in pratica possono condurre al raggiungimento dei traguardi personali di ognuno, siano essi relativi al potere, al lusso, al denaro o perfino all’amore. Le leggi del desiderio, appunto. Muccino tematizza e schematizza così la figura del life coach che, guru o ciarlatano che sia, costringe a ragionare sull’applicazione dello scientismo, oggi dictat imperante in ogni sfera dell’agire umano, anche al campo del desiderare.

Niente isola sperduta di Saramago, niente utopia, nessuna incertezza ma solo metodo, rigore, impegno, cosicché a ogni causa il suo effetto e a ogni problema la sua soluzione. E poi le fasi, spiegate da Canton alla lavagna: prima il modellamento, il rispecchiamento dopo, la convinzione, ed ecco il desiderio prendere le sembianze della realtà.

Non conta sperare, pregare, sognare, immaginare, aspettare, osservare; ciò che importa è l’implementazione delle norme e il perseguimento ottimale del modello preimpostato, pregno di determinismo. È ancora possibile desiderare? Desiderare senza soluzioni preconfezionate, senza la certezza che il desiderio si avveri, desiderare come capita, come viene, cambiando magari, in corsa, l’oggetto del desiderio?

Muccino, che per dare spazio alla tradizionale storia d’amore, con tanto di corsa finale all’aeroporto, mette per un attimo da parte la questione, sembra però, in ultima battuta, rispondere in maniera affermativa al quesito. Canton, l’esperto motivatore degli animi umani, ammette l’impossibilità di far piegare le leggi del desiderio a quelle del metodo scientifico, riafferma l’importanza dell’auto-direzione di contro agli accattivanti tentativi di etero-direzionamento da lui stesso sostenuti, riscopre in prima persona l’insondabile complessità dell’essere umano che può ancora desiderare a patto che rammenti a se stesso di essere umano.

Le leggi del desiderio, al di là del romanticismo da piacevole commedia italiana, ci ricorda, come dice la voce fuori campo a inizio proiezione, che “il desiderio è ciò che muove il mondo”; ma Muccino ci ricorda anche che il mondo si muove sotto la spinta di un desiderio istintivo, passionale sul quale la scienza non può che limitarsi a dare consigli.

 

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