ALESSANDRA
CORBETTA
Recensione di Bruno Bartoletti
L’incontro con la poesia non è mai casuale, a volte questo incontro si fortifica e, con il passare del tempo, diventa vivo, si fa voce, perché la poesia parla, comunica e unisce. È la stretta di mano di cui parlava Paul Celan o un modo diverso di guardare le cose che va in profondità, o l’affermazione di Stefano Simoncelli che, nel preparare la presentazione del suo ultimo libro, paragona i poeti alle api, perché, senza di loro, l’uomo muore.
Si dice che la poesia salva la vita o, se non la salva, ci aiuta almeno ad essere migliori, ci invita alla contemplazione e al canto anche nei momenti difficili, come la lampada pascoliana che brilla. Così la poesia ha questo tocco di semplicità e di bellezza, di contemplazione e di coinvolgimento, è pathos e catarsi insieme, è un invito “a vita nuova”.
Ben lo sa Alessandra Corbetta, sublime interprete di questo stato di cose, di questo malessere che diventa impegno, come dimostrano le numerose attività di cui è partecipe, ben lo interpreta in questo libro che segna un punto di svolta nella sua poesia. Una poesia che si fa corpo, fessura che traluce, che dice e non dice, interpreta, da cui l’omaggio non casuale a Milo De Angelis che segna l’incipit, la finestra da cui attingere:
Nessuna colpa, se alle fessure degli archi
preferì la luce della vetrina. In fondo,
anche lei cammina in bilico
tra sasso e poesia.
Nemmeno il titolo è del tutto casuale, perché in poesia nulla è casuale, Corpo della gioventù appunto, corpo che diventa ricordo, sfaccettature di luci e di colori, come descrive nella sua nota di lettura Ivan Fedeli che ne evidenzia la destinazione «il corpo, un non luogo che contiene, culla, evolve in sé e fuori di sé, si completa, dà definizioni ai contorni, ai luoghi, fino alla successiva ripartenza verso una realtà altra». Corpo della gioventù, di questa gioventù già passata che si fa ricordo, corpo vivo e dolore - il dolore atroce del mio passaggio / obbligato di gioventù, che ricorda, ma solo per associazione, i versi di Vittorio Sereni - «La giovinezza è tutta nella luce / di una città al tramonto» –.
Così Alessandra Corbetta scava e passa in un climax ascendente le varie fasi di ricerca: Fessure, Attraverso, Rintocchi, Battenti, Esplosione. Una ricerca attenta, dalla prima sezione – Fessure – in cui la poesia si fa intima ricerca personale, fino alla conclusione – Esplosione - :
Se ti addormenti sulla mia ombra
non spegneremo nessuna luce;
i fiammiferi basteranno per un altro inverno
e queste piaghe che invecchiano le mani
seguiranno il corso del latte
accettazione consapevole, nodo di speranza per la necessaria ripartenza:
Fuori dalla finestra ci aspetta una resurrezione
che diventa testimonianza del fare, ricerca di un luogo non luogo, meta ritrovata come dimostra la seconda sezione – Attraverso -
in questo vuoto – io – ho dimora
….
Abito per prima volta
la mia casa nel tuo corpo
Ma il ritrovarsi non è mai senza dolore, diventa svuotamento, diventa altro da sé, come quei due di spalle che avremmo potuto essere noi. In fondo ritrovarsi significa percorrere fino all’estremo le vie che portano altrove, all’altro da sé dove sta la vera poesia. E allora la poesia di Alessandra Corbetta si fa viva e si inserisce in questo contesto di contemporanea modernità nelle numerose e consolidate coordinate di riferimento (Eliot, De Angelis, Conte, Rondoni e soprattutto l’amato Fiori), perché la scrittura, soprattutto la scrittura poetica, ha bisogno di studio, come afferma in un suo recente libretto Cesare Viviani: «Chi ama la poesia, prima di scriverla, ne legge tanta».
Svuotamento si diceva, fino all’azzeramento di se stessi, fino ad aver spogliato le ossa del loro peso, per ritrovarsi
dentro una scatola e poi dentro un’altra
come una bambolina mai stanca di aprirsi
e svuotarsi
operazione necessaria ma non indolore per una ricerca che porta a ritroso, alla strada del ritorno, a un esilio da se stessi, al passaggio / obbligato di gioventù che si lascia per diventare altro da sé, ma è proprio in questo passaggio che si aprono i battenti per riconoscersi «Se mi chiami per nome / rispondo» prima di tutto nella propria identità, nel suo essere chiamata per nome. Ma riconoscersi significa sprofondare e ritrovare il senso del proprio esistere, varcare la soglia di una casa vuota come il finire è cominciare «a me che non sono mai iniziata» al ritornare bambini da cui esiliarsi e scavalcare il suo tempo in pochi passi di rinuncia alla fiaba, per ritrovare finalmente la meta, l’unica ragione del proprio esistere: la scrittura e la poesia che è meta e salvezza. Un lungo sofferto percorso di consapevolezza sempre in bilico, sempre in ricerca, come vuole essere la poesia, ed è solo la scrittura che salva.
La tua vita stava bene solo dentro all’alfabeto:
lì, neanche la Zeta ti faceva paura.