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Recensione di Franca Alaimo

Alessandra Corbetta si cimenta nel suo più recente lavoro poetico, Corpo della gioventù,  con un tema tanto sfuggente e sfaccettato  da dare al lettore l'impressione di stare sulla soglia di un sentimento sospeso tra stupore e dolore.
I versi non s'incentrano semplicemente sulla questione del tempo tout-court, che è tra i più diffusi tòpoi letterari, ma, in modo più specifico, su quella stagione di passaggio fra la giovinezza e la maturità con tutte le sue implicazioni psicologiche, che qui si arricchiscono di sfumature spesso così difficili da definire da necessitare una trasposizione iconico-metaforica.

Parole e immagini sono attraversate dalla macina della malinconia in cui, però, più che la terribilità della fine (tuttavia presente), è la terribilità della bellezza (che richiama il mito della Medusa pietrificante) a prevalere: il punto di vista della Corbetta, fortemente personale e femminile (in queste poesie appaiono molte figure di ragazze, giovani spose e bambine) è che la “sua” bellezza tra breve sfiorirà e porterà via tutte quelle delizie attese e godute per lungo tempo. Sembra quasi di ascoltare la voce dei lirici greci che con la stessa straziata tenerezza ricordano i tesori brevi donati dagli dei soltanto nell'età della gioventù.

I sottotitoli delle sezioni sottolineano, in questo senso un crescendo di angoscia: dopo l'attraversamento del proprio sé più intimo, si accampa nei versi un suono doloroso (pianto, rimpianto, turbine emotivo) il quale diventa sempre più alto fino all'”esplosione” della sezione finale.

La Medusa pietrificante (non va dimenticato) è anche immagine di solitudine, di corporeità inattingibile, e, di fatto, sembra sia questa condizione a costituire l'assillo esistenziale e psicologico della Corbetta. Nei testi della raccolta uno dei fili rossi è, infatti, la solitudine, se è vero che vi si può leggere, a volte in modo diretto, a volte per cenni, la trama di una storia amorosa i cui frantumi abitano la mente come barbaglii dolenti.

Del resto, quanti vengono convocati in questa silloge appaiono come corpi ad un tempo abbagliati e sopraffatti dal tempo.

Forse è per questo che la silloge della Corbetta è mossa da un movimento circolare: dalla figura dell'adolescente Donata che “cammina in bilico/ tra sasso e poesia” (nel testo iniziale) a quella di sé stessa bambina (nel testo conclusivo), che stava bene “solo dentro all'alfabeto”, quando nemmeno la lettera “Zeta” (cioè il pensiero della morte) le “faceva paura”.

Un altro filo rosso che percorre la silloge è l'assillo di una tessitura armoniosa tra forme e suono: in questo senso mi hanno fatto molto pensare i versi: “Il blu/ sa essere tremendo” e “il blu è atroce, ora lo sai” nel testo a pag. 17, Blu; in quanto mi hanno rimandato a George Sand che diceva di sentire, alla fine dei concerti di Chopen, una misteriosa “nota blu” alla quale attribuiva una funzione sinestetica fra musica e colore. Per Alessandra Corbetta il blu, “la nota blu, è anch'esso ricerca difficilissima di unicità e di equilibrio, di una originale postura etica nei confronti della Poesia.

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