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Recensione di Giacomo Panicucci

Scriveva il commediografo greco Menandro che ''muore giovane chi è caro agli Dèi''. Forse perché è solo nel periodo della giovinezza che il fiore della vita sprigiona tutta la sua fragranza e mostra i suoi colori più vivaci. Grandi poeti come Shelley, Keats e Byron si sono spenti all'apice delle loro energie creative, graziati dal Fato prima di subire l'inevitabile e naturale declino della loro straordinaria intensità vitale. Chi si scopre poeta è infatti, in primo luogo, un essere umano più vivo degli altri esseri umani e quindi più consapevole di trovarsi in vita con un corpo sensibile e una mente dal potenziale infinito. Questa consapevolezza lo rende un indagatore meravigliato, un viaggiatore incantato che si avventura attraverso le sfumature dei misteri della vita: sia nei meandri più profondi della psiche, sia nella quotidiana esperienza della realtà. In Corpo della Gioventù, titolo che ricorda l'esoterico ''Corpo di Gloria'' vagheggiato dagli alchimisti, i versi enigmatici di Alessandra Corbetta si concentrano soprattutto sul momento di trasformazione alchemica dell'adolescenza in adultità, quando il girasole della giovinezza inizia a chiudersi sotto le tenebre del crepuscolo (il balzo al cambiamento ha un corpo lungo: somiglia a un gigantesco girasole che sposta il buio un giorno indietro).

Alessandra Corbetta sa ascoltare e assimilare la voce delle parole, che germineranno lentamente nel silenzio dell'interiorità, dando poi luce a immagini, analogie, similitudini e metafore. Ma soprattutto sa che ciò che è essenziale per un poeta è la consapevolezza del suo corpo: tutti i pensieri, le emozioni, le azioni e persino l'ispirazione passano attraverso le porte dei sensi. Le varie poesie che formano la silloge ci suggeriscono infatti che il nostro corpo non è un prodotto, un dato di fatto, ma un'esperienza continua, un fiume in cui non ci si bagna mai due volte: vengono in mente Blake con i suoi ''Canti dell'Innocenza e dell'Esperienza'' e Rimbaud che nella ''Lettera del Veggente'' scriveva che un individuo degno del nome di poeta non deve accontentarsi di qualcosa che sia meno della totalità dell'esperienza. Ma Corpo della Gioventù non è solo poesia di esperienza, né tantomeno un manifesto poetico sulla gioventù con tutti i suoi cliché: esso piuttosto è una sequenza di quadretti esistenziali, un corpus hermeticum di visioni frammentate che tendono tutte alla trasfigurazione metafisica, come accade nella lirica che chiude il libro, Zeta, in cui la morte e il tempo, suo principale alleato che corrode carne e spirito, vengono esorcizzati nell'alfabeto, nell'arte della letteratura, nella metafisica dell'atto scrittorio che sta al di là di ogni realtà sempre in perenne mutamento. (La tua vita stava bene solo dentro all'alfabeto: / lì, neanche la Zeta ti faceva paura.)

La raccolta è divisa in cinque sezioni (Fessure - Attraverso - Rintocchi - Battenti - Esplosione) ed è tutta attraversata dallo scontro sottile e titanico fra Eros e Thanatos (La Morte scoperchia ogni mattina la culla, / agita i sonagli, rompe il sonno alla Bellezza): energie che si intrecciano in un continuo ballo, barocco e visionario (seni cubani si agitano in una danza delle streghe), attraverso giochi di antitesi, chiasmi e paradossi, (quanto ero vecchia / a non voler crescere, / a volere restare bambina) e richiami intertestuali più o meno adombrati, come accade nella poesia Drummer che apre ''Battenti'' in cui l'esplosione del canto del mio oscuro cuore riflette il titolo dell'ultima sezione (Esplosione) e il verso iniziale di Zeta (Ti esplodevano le guance!). Tutto ciò contribuisce a scardinare le coordinate e i limiti strutturali della realtà stessa (nell'elencazione anaforica finale di Matrioska appare anche il simbolo matematico dell'infinito ∞): i confini dei corpi fisici oscillano, esplodono le leggi che dominano la natura e assistiamo a uno sfaldamento progressivo della materia, scomponibile come un gioco di scatole cinesi o come una bambolina mai stanca di aprirsi / e svuotarsi.

Simili alle misteriose tele di Giorgio De Chirico, le liriche di Corpo della Gioventù raffigurano spesso deserti paesaggi dell'anima (Sono deserta / in questo posto che non mi attraversa), waste lands in cui il vuoto sembra aver gettato i vessilli del suo definitivo trionfo e il corpo è un manichino senza volto. Oppure, come nelle visioni di Salvador Dalí, i versi sottendono non-luoghi in cui il tempo si squaglia, lo spazio si contorce e frammenta in una sala di specchi, creando spaesanti riflessi e allucinati giochi di prospettive. Così le atmosfere di Corpo della Gioventù tendono costantemente al surreale e al metafisico e non è un caso che uno dei più grandi pittori surrealisti, René Magritte, sia palesemente omaggiato nella lirica René. Nella poesia intitolata Blu, dove compaiono riferimenti a Pablo Picasso, veniamo trasportati con tocchi al tempo stesso morbidi e taglienti, dentro l'essenza di questo colore primario che, come il mare, sa essere tremendo e come le sonorità del blues ci può trascinare nei gorghi impetuosi del nostro essere, là dove faremo esperienza della nostra unicità e del senso tragico della vita: l'unicità è lì sospesa / tra l'onda e la sua schiuma e questa scoperta avrà per prezzo / il lancio folle della moneta, / caduta a terra / nel cappello del mendicante.

Gli epiloghi sono spesso sentenze epigrammatiche che veicolano immagini folgoranti come: il blu è atroce, ora lo sai  verso che ricorda ancora Rimbaud, nella sua "Stagione all'Inferno" (il poema più lucido e delirante di ogni trasformazione magmatica di anima e corpo), oppure la scia del tram / preso senza bigliettouna culla dove nessuno / possa venire a svegliarmi o infine aforismi di sapore più filosofico come la vita è una faccenda personale / i vostri credo piante d'ornamento e Così, di te, ho amato l'idea di noi.

In Quarto Chakra, ermetica lirica il cui titolo si riferisce al centro energetico del cuore e del respiro, in sanscrito Anahata: fonte del sentimento vitale secondo le tradizioni religiose indiane, emerge un invito a rifiorire in vita per aprirsi al passaggio intenso di plenilunio: qui Alessandra Corbetta sembra mettere a fuoco il momento in cui il corpo, nella buia notte dell'anima, si fa veicolo di energia spirituale per ritrovare la parola giusta che temi di chiamare col suo nome, quella che sopravvive come rugiada sulla desolazione notturna, che supera i secoli a pezzi che c'è dato di vivere; quel ponte di trasformazione da corpo inerte a spirito vivente, ossia l'Io che si schiude al Noi (respirandoci) al ritmo segreto e pulsante di un cuore finalmente accordato con le leggi dell'Universo. Soltanto così, restando fluidi come fresca corrente d'acqua e aperti al mare della vita, pare dirci questo libro così dolce e amaro, duro e delicato, onirico e fisico, che è Corpo della Gioventù, l'addio alla giovinezza non sarà mai un addio definitivo ma solo una partita che ricomincia.

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