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Recensione di Davide Fent

Nell’opera di Alessandra Corbetta Corpo della gioventù (Puntoacapo Editrice 2019) a trovarsi in stato di instabilità non sono soltanto gli ambiti e i registri linguistici, ma soprattutto l’ethos, lo stigma positivo o negativo delle immagini verbali. Ciò che fa riconoscere la poesia di Alessandra Corbetta è proprio la rapidità dell’escursione (detto in senso analogo a “escursione termica”) tra l’accendersi e l’oscurarsi dell’immagine. Nascita e morte delle immagini si succedono quasi istantaneamente. Si potrebbe parlare di un processo di decadimento fulminante.
L'autrice, come ha dichiarato in una delle belle interviste di poesia contemporanea curate per Rai1 da Yari Selvetella, prende di petto una questione personale e sociale oggi sentitissima: il passaggio difficile tra giovinezza e maturità.
A modo suo, partecipa al periodo dello sperimentalismo e della nuova avanguardia degli anni 2000 partecipa, cioè, alla “negazione della comunicazione”. Ma, ripeto: a modo suo. Il che vuol dire senza una preconcetta dichiarazione di falsità delle immagini poetiche. Anzi, al contrario, attraverso una attribuzione di fiducia: sennonché le immagini “positive” (portatrici di valori di pienezza e di felicità) sono talmente investite di senso da non reggere al peso; e si ritrovano perciò — solo un attimo dopo — oscurate e opache, caricate di connotazioni “negative”. Nessuna immagine resiste a questo “ritmo sterminatore”.
Colpisce la icastica precisione di immagini-racconto, come le chiamava Pavese. Ad esempio, i gettoni di una sala giochi o nella chiusa inquietante di una poesia sul matrimonio: «"La damigella ha quattro anni / e un cesto di petali.»
Notevole, in altri luoghi di un libro fortemente strutturato e coeso, la visione del fare poetico come campo necessario e vitale: «La tua vita stava bene solo dentro all’alfabeto // lì, neanche la Zeta ti faceva paura».

A differenza di molta poesia di poeti coetanei di Corbetta, qui l'io poetico è trattenuto nel diamante dei testi e del fare poetico. Mai esibito in termini diaristici o sentimentali. "Funziona" si potrebbe dire da catalizzatore di questioni portate al livello in cui esse diventano di tutti, non come narcisistico protagonista.
Come in altri testi coevi, il periodo poetico è costruito qui con tratti consequenziali; nei termini di un insistito soppesamento di “se”... “allora”. Questa struttura, oltre a costituire un elemento paradossale (un inquadramento logico per materiali francamente illogici), fornisce anche sostegno all’andamento ritmico del brano. Si tenga presente che Corbetta sperimenta una metrica rigorosamente “spaziale”, ossia legata non al numero delle sillabe, ma allo spazio disponibile nella pagina; per distinguere il testo poetico dalla mera prosa, la ritmicità deve, allora, essere assicurata per un’altra via, che è quella della ripetizione delle strutture sintattiche. Ciò produce una serie di ripetizioni, dislocate in punti sempre diversi (poiché il verso è obbligato ad arrivare al margine del foglio, la sua fine è sempre casuale rispetto al periodo), ma continuate e riprese in un andamento “ad anelli” che si interseca con l’alternarsi — come ho detto, repentino — del positivo e del negativo; insomma, con l’ossimoro strutturale che governa lo stato del testo.
Il senso ultimo si evince per spaesamenti modernisti, per il riconoscimento di somiglianze sorprendenti come: «Il balzo del cambiamento ha un corpo lungo / somiglia a un gigantesco girasole». E’ diffuso il desiderio dell’impossibile, associato a un’idea di unicità agognata nel suo prezioso e incerto raggiungimento: «L’unicità è lì sospesa / tra l’onda e la sua schiuma: / il blu è atroce, ora lo sai».

Che si tratti di poesia d’amore oppure di poesia dell’inconscio, quello che la lettura retorica ha potuto rilevare è che qualsiasi contenuto non tiene nel gioco ritmico, sonoro e semantico del continuo susseguirsi di “posizione” e “toglimento” (di una dialettica in stato di accelerazione).
Il corpo di donna «Lo sguardo si ferma, allunga sé stesso / oltre la longitudine alla bellezza / delle tue gambe, si fa sfera intorno / ai seni sbagliati per incuranza»), un segno indelebile del tempo «Invece il tempo passa /e la mano della recitazione si fa tremante, / traballa la tazza, Fantaghirò si stanca / di cercare Romualdo», un carattere tipografico che sa d’inchiostro sbavato.

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